a cura di Luca Salvi

L’economia mondiale corre senza sosta; le banche centrali, però, sembrano non avere gli strumenti giusti per gestire i fiumi di denaro che hanno inondato i mercati negli ultimi anni.
La politica monetaria è diventata molto cauta e alquanto prevedibile; il problema è che chiudere ora i rubinetti potrebbe non bastare.
Se è vero che l’economia statunitense è realmente forte come dicono gli addetti ai lavori, se è vero anche che la Fed ha veramente intrapreso la strada della normalizzazione dei tassi e se è vero, in ultima istanza, che Wall Street batte tutti i record ogni giorno, la domanda sorge spontanea: perché il dollaro continua a deprezzarsi invece che rivalutarsi? La risposta è che, probabilmente, l’economia USA non è così forte come viene dipinta, anzi, sarebbe addirittura in recessione.
È necessaria una piccola riflessione.
Ancora oggi, l’America basa circa il 70% del suo Pil sui consumi ma i dati sui consumi americani non parlano affatto di boom!
Cerchiamo di fare chiarezza.
L’industria automobilistica, ad esempio, va a gonfie vele ma l’errore di fondo è che si considerano come spese produttive anche quelle relative agli investimenti che i rivenditori fanno per comprare e/o noleggiare posti dove parcheggiare le auto invendute: quindi gli USA scoppiano di salute solo sulla carta ma la realtà, lo sappiamo tutti, è ben diversa. Allora cosa mantiene vive le vendite? Udite, udite… i famigerati prestiti subprime e il credito al consumo concesso in grandi quantità. Sembra, allora, di essere tornati al 2007.
Facciamo un’altra riflessione. Ormai con cadenza mensile, si sbandiera la crescita dei livelli occupazionali; in realtà, sono ormai due anni che le uniche categorie costantemente in salita sono quelle dei camerieri e dei baristi, persone con salari minimi e, il più delle volte, senza tutele. Al contrario, chi scende inesorabilmente è la manifattura, zoccolo duro dell’economia americana.
La verità è che con Obama c’era stata una ripresa garantita solo dal Qe della Fed, poi risultata falsa; adesso, si cerca di andare avanti con la reflazione dell’impulso creditizio cinese che, se dovesse terminare, farebbe di fatto crollare l’intero “castello di carte”.
E l’Europa? Oggi abbiamo un euro forte e la domanda è se sia giustificata tutta questa potenza. Diciamo che, a livello di immagine, sicuramente sì; basti pensare all’idea che l’Ue, attraverso il Qe della Bce, sta dando al mondo con una Germania, in tal caso specchietto per le allodole, omogenea a livello macroeconomico, stabile a livello politico e con un surplus commerciale da far invidia.
Ma se ci soffermiamo un attimo, è facile rendersi conto di situazioni ancora critiche: la bomba immobiliare spagnola e portoghese sta per esplodere, in Italia imperano debito pubblico e Npl, la Grecia che non riesce a crescere anche se, a quanto scrive un quotidiano tedesco, il Die Welt, “i greci lasciano indietro gli italiani” e, infine, la Francia che sopravvive esclusivamente grazie agli aiuti di Stato e a trucchi contabili.
Se l’euro resta così forte e la Bce, da un giorno all’altro, smette di comprare corporate bond, cosa accadrà alle aziende europee e al sistema bancario stesso che dovrà sostenerle con inevitabili ripercussioni sia sugli spread obbligazionari sia sul mercato interbancario?
Sono domande che necessiterebbero una risposta concreta.
Torniamo alla questione dollaro. Da più fronti, si sostiene che l’economia americana potrebbe trovarsi, paradossalmente, in una situazione ancora più favorevole con il cambio Eur/Usd a 1,25 e che ciò non deve destare scalpore. Il dollaro debole, anche secondo Trump che a Davos ha dato un’anteprima su cosa c’è da aspettarsi, serve per schiacciare la concorrenza e affrontare la Cina tagliando fuori, al tempo stesso, l’eurozona: “America First”!
Mario Draghi, con immenso spirito patriottico, è arrivato addirittura a rompere i vincoli della diplomazia fra banchieri centrali, per chiedere a Washington il rispetto dei patti; non dimentichiamoci, però, che Trump è stato eletto per far ciò che a un altro presidente non sarebbe mai stato concesso di fare. Siamo, quindi, pronti in Europa ad affrontare una guerra di dazi, tariffe e concorrenza sleale? Il risultato sarà un’Europa unica o un’Europa a due velocità? Penso sia giunta l’ora di porsi domande di questo tipo perché non siamo di fronte alla solita crisi economico-commerciale ma a una vera e propria rivoluzione, oserei dire copernicana, che potrebbe modificare gli equilibri per il prossimo secolo.
Mi piace concludere questo intervento con una frase che mio figlio mi dice spesso quando gli chiedo come è andata la scuola: “ho una notizia buona e una cattiva”. In questo contesto è proprio il caso si dire che la buona notizia è che l’economia mondiale viaggia a gonfie vele; quella cattiva è che l’economia mondiale viaggia a gonfie vele. Meditiamo.