FOCUS RISTORAZIONE.
 
 
 

A cura di Mascia Mancini

Focus ristorazione (1 Puntata)


A partire da questo numero di CommerNews scriverò una serie di articoli ponendo il Focus sulla Ristorazione. Un settore che conosco bene, che come consulente seguo da oltre 20 anni, ma nel quale vedo aumentare il numero degli errori commessi, che con alcune accortezze potrebbero essere evitati facendo diventare le attività RISTORAZIONE DI SUCCESSO!
IN ITALIA I RISTORANTI CRESCONO DI NUMERO, MA TRE SU QUATTRO CHIUDONO PER FALLIMENTO ENTRO CINQUE ANNI AL MASSIMO.
Dati rielaborati da indagini Unioncamere, Coldiretti e Movimprese dicono che ogni giorno chiudono 34 ristoranti. In Italia cresce il numero di bar e ristoranti ma tre su quattro chiudono in cinque anni. Circa il 45% delle attività non supera il terzo anno.
Questo anche se il 2018 è stato l’anno record di consumi degli italiani fuori casa con 85 miliardi di euro spesi, eppure, il saldo tra nuove aperture e chiusure ha raddoppiato il saldo in negativo dal 2008 (anno di avvio della crisi economica) con circa -12.450 chiusure.
L’analisi delinea un anno buio per la ristorazione italiana e serve più consapevolezza da parte dei ristoratori su quanto la spesa per mangiare fuori casa sia distribuita su un numero sempre minore di locali e quanto molti ristoratori non siano stati in grado di leggere e interpretare i recenti cambiamenti economico-sociali e tecnologici o gli stravolgimenti nelle abitudini alimentari, soprattutto dei più giovani che cucinano sempre meno a casa e, quando esce, vanno spesso alla ricerca di nuovi sapori o di esperienze particolari, complice il proliferare di ristoranti che contaminano e mescolano le tradizioni di diverse aree del mondo e di locali che attorno al cibo, mediamente di alta qualità, hanno saputo costruire una forma di intrattenimento e di coinvolgimento del cliente per stupirlo e fidelizzarlo.
Aprire un ristorante, come ogni attività imprenditoriale, ha molto più a che fare con la capacità di trovare e trattenere nuovi clienti il più a lungo possibile che con la cucina del ristorante stesso.
Esempi famosi sono McDonald, Starbucks e, se ci pensiamo anche per la pizza, l’azienda più importante al mondo Pizza Hut, è in Michigan e propone la pizza con l’ananas. Ma caffè e pizza non sono forse tipici di Napoli? Allora le opportunità che abbiamo noi italiani nel mondo della ristorazione sono ben maggiori di quelle che stiamo cogliendo! Questo non significa che per aprire un ristorante si debba fare cibo schifoso purché si sappia acquisire clienti.
Come per ogni attività imprenditoriale, aprire un ristorante significa aprire un’azienda vera e propria con tutto quello che questo comporta. Noi italiani invece, quando ci buttiamo nella ristorazione siamo tentati di vedere il ristorante come un’estensione di casa nostra: marito in sala, alla cassa e a gestire gli acquisti, la moglie in cucina e i figli in sala a servire.
La convinzione erronea che “Basta aprire, cucinare bene, fare prezzi onesti e la gente verrà” è probabilmente la causa di fallimento principale, sia per i ristoranti già aperti che quelli di coloro che ne vorranno aprire uno.
Cominciamo da questa puntata, a vedere insieme, come scappare da convinzioni erronee e aprire un ristorante di successo.
Il neo ristoratore esattamente come il ristoratore già attivo, non dovrebbe pensare solo a quale bancone acquistare, se è meglio avere la birra artigianale o quella industriale, quale forno per la pizza sia meglio e così via. Quindi dove trovare i fornitori, o quali sono gli adempimenti di legge da assolvere… È ovvio lì può scegliere Costruire Centro Studi e Formazione e non sbagliare! 
Ma prima ancora di pensare a tutto questo, deve ragionare sul come acquisire clienti per la sua azienda! Questo significa che il ristoratore deve essere un imprenditore focalizzato sul marketing, cioè sul saper mettere persone a sedere sulle sedie del suo locale.
Persone che verranno servite da altre persone chiamate camerieri e che riceveranno del cibo cucinato da cuochi e aiuto cuochi.
Una visione normale se stessimo parlando di imprenditori che vogliono operare nel mondo della ristorazione. Una visione assurda, quasi blasfema per chi vede l’investire tutti i risparmi di famiglia e dei genitori nell’aprire un ristorante, come alternativa alla disoccupazione e nella modalità “estensione della cucina di casa mia”.
Ecco quindi una sequenza di ristoranti tutti uguali, che dopo poco si mettono a vendere menu con cibo precotto a pranzo a pochi euro pur di muovere illusoriamente fatturato, perché «la gente non ha soldi da spendere e sennò non viene».
Ecco il ristoratore che si rifugia a comprare tutte le offerte compreso quel meraviglioso prosciutto crudo surgelato a 4€ al kg, nell’illusione che la bocca dei propri clienti sia foderata di catrame e non si accorga che gli viene servito cibo di scarto.
Ecco tutti i ristoranti/pizzeria campani tutti ugualmente ammiccanti a Napoli (anche se i titolari sono di Trieste), tutti con le stesse foto di Totò, Maradona e del Vesuvio alle pareti.
Tutti, inevitabilmente, incapaci di attrarre e mantenere nuovi clienti con dei margini interessanti e schiacciati, poco dopo la loro apertura, dalla “battaglia del prezzo” con gli altri ristoranti.
Una delle cose che deve comprendere un imprenditore che si affaccia al mondo della ristorazione è un concetto molto semplice: non ci sono nuovi clienti.
Detto in modo più semplice, il compito di un ristoratore è quello di offrire un qualcosa di:
diverso,
particolare,
unico,
non già esistente,
in modo da intercettare persone che vanno già al ristorante come abitudine e abbiano voglia di provare anche il suo.
Quindi la ristorazione si traduce nell’atto di rubare clienti alla concorrenza più che nella creazione di nuovi. È un gioco a differenziarsi piuttosto che clonare e abbassare i prezzi (a meno che non si voglia chiudere).
Oggi la moda invece è che quando si apre bisogna fare i misteriosi.
Farsi conoscere non è assolutamente rilevante in un mercato saturo di ristoranti come quello attuale. Infatti nonostante la crisi, in Italia i ristoranti crescono di numero ma tre su quattro chiudono per fallimento entro al massimo cinque anni.
Questo perché senza una strategia ben precisa, ci si limita ad aprire un ristorante clone di altri mille ristoranti già esistenti, a comunicare che esistiamo e come unica leva per attirare clienti si usa: guardare quello che fa la concorrenza e creare dei menu che costino meno.
Per una micro-impresa come un ristorante, usare la leva del prezzo basso come strategia per stare sul mercato è un suicidio. Non è la crisi a far chiudere i ristoranti. Questa storia della crisi è una balla. I consumi medi degli italiani al ristorante sono tornati quasi identici a quelli pre-crisi 2008.
Il vero problema è che tranne “ho i prezzi più bassi”, chi apre un ristorante non fornisce nessun motivo ai propri potenziali clienti per scegliere lui invece che la concorrenza. La definizione corretta di marketing per ristoratori infatti non è “farsi conoscere”, bensì:
“Spiegare ai clienti perché scegliere di mangiare da noi, invece che dalla concorrenza, o rimanere a casa.”
E la risposta non può essere in nessun modo: “Perché ti serviamo precotti di merda a qualche centesimo in meno della concorrenza”.
Altrimenti si finisce a mettersi in fila con quei tre su quattro che ogni anno portano i libri in tribunale e danno la colpa alla crisi.