L’utilizzo degli indici di bilancio, nella letteratura aziendale e nella prassi
 
 
 

a cura del Dott. Luigi Troli

L’utilizzo degli indici di bilancio, nella letteratura aziendale e nella prassi


L’UTILIZZO DEGLI INDICI DI BILANCIO NELLA LETTERATURA AZIENDALE E NELLA PRASSI: GLI INDICATORI DELLA CRISI SECONDO L’ARTICOLO 13 CCII DEL D. LGS. N. 14 DEL 12 GENNAIO 2019, PUBBLICATO IN GG.UU. N. 38 SEZIONE SPECIALE DEL 14 FEBBRAIO 2019 (ENTRATA IN VIGORE IL 16 MARZO 2019 IN ATTUAZIONE DELLA LEGGE 19-10-2017, N. 155)

L’analisi per indici e flussi è un tema tornato di prepotente attualità dopo l’approvazione del nuovo codice della crisi e dell’insolvenza delle imprese che hanno voluto legare i nuovi meccanismi di allerta proprio al calcolo di alcuni parametri ritenuti particolarmente significativi.
Di seguito si fornisce una breve sintesi degli indici in letteratura e nella prassi con l’utilizzo dei contributi di dottrina ma anche dello stesso CNDCEC (chiamato a rivestire un ruolo decisivo) e di altri soggetti che hanno delineato criteri predittivi della crisi come il CERVED. Si proverà ad anticipare il set di indici che verranno calcolati e presumibilmente comuni ai diversi settori di attività delle imprese.
L’analisi per parametri delle risultanze di bilancio rientra nelle metodologie aziendalistiche utili per la valutazione dello stato di salute di un’impresa. Abbiamo così:

• Indici di crescita dei ricavi, dei margini o del capitale investito (o parti di esso) che misurano le variazioni nel tempo delle variabili in chiave aziendale;
• Indici di redditività che confrontano un margine, solitamente a numeratore, con il totale dei ricavi o con il capitale investito complessivo o limitato al solo patrimonio netto a denominatore. L’obiettivo è quello evidente di misurare la redditività in valore assoluto, ma anche di porla a confronto con la redditività passata e con quella del settore o dei principali concorrenti;
• Indici sul capitale circolante commerciale inerenti ai tempi di incasso e pagamento e la rotazione delle scorte che misurano la durata del ciclo del circolante per comprendere l’impiego di risorse derivante dal capitale circolante commerciale;
• Indici di sostenibilità del debito finanziario che confrontano la posizione finanziaria netta con il patrimonio netto e con l’Ebitda oppure che misurano la capacità dei margini operativi di ripagare gli oneri finanziari. Spesso tra questi criteri figura anche il rapporto tra attivo e passivo a breve che dove è maggiore di uno indica la capacità dell’impresa di far fronte alle proprie obbligazioni nel breve termine.

Il calcolo dei parametri, di cui sopra, presuppone l’utilizzo di voci risultanti dalla riclassificazione dei prospetti di conto economico e di stato patrimoniale che consentono di ricostruire in modo sufficientemente unanime almeno le voci principali. L’analisi per indici viene nel tempo sempre più integrata dall’analisi per flussi che, da una parte, è volta ad accertare l’equilibrio esistente tra la generazione e l’assorbimento di risorse finanziarie da parte delle diverse aree gestionali (tipicamente operativa, finanziaria e talvolta tributaria e accessoria) e, dall’altra, a sostituire grandezze finanziarie a grandezze economiche nel calcolo degli indici. Ad esempio, il rapporto tra posizione finanziaria netta ed Ebitda misura quanti Ebitda (e quindi implicitamente quanti anni) servono per ripagare il debito. Questo parametro è molto diffuso in ambito bancario e solitamente definisce valori intorno a 5 come soglie di attenzione, ma può essere migliorato sostituendo all’Ebitda il flusso della gestione corrente ovvero Ebitda – variazione del capitale circolante commerciale (la voce numero 3 della sezione A dello schema di rendiconto secondo Oic 10 approssima questo valore) – oppure il flusso della gestione operativa sottraendo al precedente gli investimenti netti. In questo modo viene confrontato il debito da rimborsare con i flussi di cassa (e non di reddito) generati dalla società: si ha quindi un rapporto tra due grandezze finanziarie.
La letteratura economico-aziendale ha approfondito questi temi fino alla generazione di software applicativi che consentono il calcolo degli indici “in automatico”, partendo dal bilancio depositato. Ugualmente differenziati sono l’impiego che nella pratica viene fatto degli indici e le interpretazioni che ciascun analista fornisce dei risultati ottenuti. È generalmente riconosciuto che gli indici debbano essere letti in ottica sistemica e quindi nel loro insieme piuttosto che singolarmente, ma le soglie di criticità dei valori sono tipicamente soggettive e raramente la letteratura fornisce indicazioni in tal senso.
Le ultime considerazioni spiegano i motivi per i quali le analisi per indici e flussi non abbiano mai trovato specifiche declinazioni normative, riconoscendo la difficoltà sia a selezionare i parametri corretti (che possono variare da settore a settore) sia a stabilire modalità di lettura e di fissazione di valori-soglia sufficientemente condivisi. Alcune eccezioni hanno riguardato le norme fiscali e, in particolare, quelle relative alla deducibilità degli oneri finanziari. Si pensi a quanto disposto nell’art. 96 del Tuir, ovvero il rapporto tra gli interessi passivi, gli oneri assimilati e il ROL, fissando una soglia “fisiologica” nel valore del 30%. Tuttavia, l’utilizzo degli indici nelle norme fiscali pare ispirato a un’esigenza di definizione di limiti di deducibilità piuttosto che all’accertamento di una situazione critica dell’impresa.
In questo contesto la nuova norma fallimentare ha invece voluto fare riferimento proprio agli indici quale elemento centrale dei meccanismi di allerta, generando un insieme di interessanti spunti di riflessioni ma anche di preoccupazione.
Nel passaggio dalla legge delega al testo del codice viene operata una distinzione tra indicatori e indici. Sono indicatori della crisi gli squilibri di carattere reddituale (prevalenza dei costi sui ricavi), patrimoniale (riduzione al di sotto del terzo, del minimo legale o azzeramento del capitale o una significativa riduzione del patrimonio netto) e finanziario (prevalenza delle uscite sulle entrate o squilibrio nella generazione/assorbimento dei flussi da parte delle diverse aree gestionali). Si è quindi ampliata la nozione di “squilibrio” introducendo anche le nozioni di squilibrio economico e patrimoniale. È evidente che la prevalenza di costi su ricavi in un esercizio può non significare uno stato di crisi, ma dipendere da una situazione congiunturale facilmente risolvibile (ad esempio una difficoltà di approvvigionamento che ha impedito vendite di prodotti finiti), mentre la tensione finanziaria è solitamente indicatrice di uno squilibrio più ampio e consolidato nel tempo. Gli indici di bilancio sono invece gli strumenti con i quali devono essere accertati gli eventuali squilibri descritti. Il comma 1 non definisce più (al contrario della Legge Delega) specifici indici, ma si limita a evidenziare il particolare riguardo che si deve avere per:

1. la sostenibilità dei debiti nei successivi sei mesi;
2. le prospettive di continuità aziendale;
3. l’esistenza di significativi e reiterati ritardi nei pagamenti.