L’imprenditore e il passaggio generazionale dell’impresa.
 
 
 

A cura dell'Avv. Raffaele Petrone

L’imprenditore e il passaggio generazionale dell’impresa


In seguito all’esperienza lavorativa si è notato che molti piccoli e medi imprenditori, oltre alle problematiche di natura fiscale, commerciale e legate al ruolo datoriale, si pongono delle domande che investono il proprio futuro. In particolare l’incertezza politico-economica, l’incertezza sulla possibilità che i propri figli proseguano l’attività, ingenerano dei dubbi ai quali si tenta di dare una risposta.
Cosa ne sarà dell’azienda di un imprenditore quando lui non volesse più occuparsene o non fosse più nella condizione di guidarla? Quali sorti attendono l’impresa nel momento cui si dovrà interfacciare con il futuro dei suoi affetti più cari? Negli anni futuri quale sarà il ruolo dell’imprenditore nelle vicende che interesseranno gli assetti familiari e patrimoniali?
Queste domande influenzano in modo decisivo e concreto le decisioni e i comportamenti dell’imprenditore, anche quelli più elementari, anche quelli di ogni giorno. Le risposte vengono spesso rinviate non considerando i vantaggi di una tempestiva e corretta pianificazione.
Poniamo l’ipotesi che un imprenditore sia titolare di un portafoglio immobiliare e di partecipazioni in società commerciali, e che abbia individuato fra i suoi figli quello dotato di leadership necessaria per essere investito della posizione di governo del patrimonio e delle partecipazioni nelle società operative.
Nella nostra ipotesi l’imprenditore intende tutelare anche gli altri figli: vorrebbe immettere anche loro nella titolarità di alcune partecipazioni e di alcuni beni patrimoniali, e assicurare loro spazi di intervento nelle decisioni più rilevanti.
E’ possibile evitare che il potere decisionale sia frammentato tra un numero eccessivo di teste e che questa frammentazione impedisca di assumere decisioni appropriate per l’impresa e per la corretta gestione del patrimonio?
Come assicurarsi, allo stesso tempo, che i figli non designati per la leadership abbiano comunque determinate posizioni nella conduzione dell’impresa?
L’imprenditore potrebbe anche preoccuparsi di tutelare maggiormente i propri figli: vorrebbe, ad esempio, che i coniugi dei figli siano in ogni caso estromessi da qualsiasi carica gestionale nelle società da lui fondate e dalla titolarità dei beni che attualmente costituiscono il suo patrimonio, il quale deve restare nella sua linea di discendenza diretta.
Da ultimo, ma non di minore importanza, l’imprenditore vorrebbe essere sicuro che le soluzioni adottate siano efficienti sotto il profilo tributario, e che consentano di valorizzare le opportunità di contenimento del carico fiscale connesso con la successione.
Tali obiettivi si possono raggiungere attraverso un'opportuna valutazione di negozi giuridici che non può essere qui compiutamente descritta, ma solo prospettata per cenni. L’imprenditore potrebbe, ad esempio, costituire una società semplice (che rappresenta ormai, oggi, il regime del godimento collettivo alternativo alla comunione), partecipata da lui stesso in misura largamente maggioritaria e – con quote minoritarie – da ciascuno dei figli.
La società semplice potrebbe contemplare nello statuto la nomina dell’imprenditore quale amministratore unico, con conseguente sua irrevocabilità salvo giusta causa, e porre dei limiti alla circolazione delle quote finalizzati ad assicurare che le quote siano trasmissibili soltanto in favore dei discendenti: ciò comporterebbe tra l’altro la loro impignorabilità e insequestrabilità.
Con la previsione di patti sociali si potrebbe disporre una clausola di continuazione facoltativa per il caso di decesso dell’imprenditore, in tal modo spetterà agli eredi – purché costoro accettino l’eredità - la decisione se continuare la società con i soci superstiti.
Sempre nello statuto si potrebbe disciplinare il godimento personale, da parte dei soci, di alcuni beni appartenenti al patrimonio sociale ai sensi dell’art. 2256 del codice civile. Fatte tali premesse, alla società così strutturata, potrebbero essere conferiti i beni patrimoniali (immobili e partecipazioni sociali) per i quali si intende pianificare la successione.
Per via testamentaria, l’imprenditore potrebbe infine disporre della propria quota nella società semplice ripartendola fra i figli e assegnandone una quota più rilevante al leader designato, pur tutelando i diritti degli altri in quanto legittimari.
L’imprenditore potrà così modificare la propria scelta del leader, fino al giorno del suo decesso, attraverso la semplice redazione di una nuova scheda testamentaria. Le disposizioni statutarie per l’ipotesi di decesso del socio e quelle testamentarie, così coordinate, avrebbero il seguente effetto: apertasi la successione dell’imprenditore, la sua quota sarà ripartita fra gli eredi — che abbiano accettato l’eredità — in ragione di quanto disposto per via testamentaria e, ciascuno di loro, avrà la facoltà di continuare la società con i fratelli (limitatamente alla quota caduta in successione e a lui devoluta).
L’imprenditore potrà, inoltre, onerare i figli-eredi di provocare una modifica del contratto sociale — esprimendo consenso unanime — atta a conferire la carica amministrativa al figlio indicato dall’imprenditore nel proprio testamento, così rendendola, a sua volta, irrevocabile salvo giusta causa.
Quanto sopra descritto potrà avvenire anche prescindendo dall’entità della quota attribuita al leader indicato dall’imprenditore, e dunque ripartendo la quota di quest’ultimo fra i figli in modo da preservare i diritti di ciascuno in quanto legittimario.
E’ possibile inoltre assicurare maggiore celerità ai processi decisionali nell’ambito della società semplice, disponendo - per via testamentaria - l’ulteriore onere, a carico dei figli-eredi, di conferire le loro partecipazioni (ivi incluse quelle oggetto di devoluzione testamentaria) al capitale di una s.r.l. costituita fra costoro, e di provocare la nomina di un amministratore unico di tale ultima società che abbia – per disposizione statutaria - un organo amministrativo unipersonale.
Altra ipotesi si può individuare nella necessità per l’imprenditore di assicurare la continuità nella gestione dell’impresa quando il divario di età, tra lui e i figli, sia tale da rendere impossibile la selezione del leader prima dell’apertura della sua successione.
Inoltre l’imprenditore potrebbe volersi assicurare che l’impresa continui a essere gestita in modo unitario, anche dopo la morte dei figli; oppure potrebbe desiderare che il figlio designato per la leadership, pur restando alla guida dell’impresa, possa essere rimosso agevolmente dalla carica qualora non si dimostrasse più all’altezza del compito, e che tale decisione sia presa alla luce di valutazioni oggettive, condotte da soggetti terzi e disinteressati, secondo i criteri che lui indicherà.
Questi obiettivi, e numerosi altri, possono essere conseguiti ricorrendo a negozi più sofisticati, come ad esempio un trust di partecipazioni sociali.
Oltre allo scopo di tutelare la continuità aziendale nel segno tracciato dall’imprenditore, vi sono aspetti di natura prettamente fiscale che possono essere valutati per una migliore economia delle risorse.
Nel nostro paese le aziende “di famiglia” rappresentano il 70% circa delle imprese e, proprio tale peculiarità, costituisce un plusvalore rispetto alla concorrenza. A ciò si contrappone una minore stabilità nel futuro, poiché il ricambio generazionale spesso comporta la cessazione dell’attività aziendale almeno per la metà di queste realtà; questi dati sono destinati ad aumentare al momento del secondo passaggio generazionale.
Per cercare di offrire una risposta a queste problematiche è imprescindibile una collaborazione tra professionisti che, preso atto delle volontà dell’imprenditore, lo possa guidare oggi nelle scelte migliori del momento per una maggiore tutela nel futuro.