La finanza alternativa per le PMI in Italia
 
 
 

Estratto da l’Osservatorio Entreprenership & Finance del Politecnico di Milano

La finanza alternativa per le PMI in Italia


Il tema dell’accesso al capitale per le PMI è ormai da qualche anno una priorità nell’agenda di tutti, dalla politica alle autorità di mercato, dalle associazioni degli industriali fino alle banche stesse.
Le PMI in Italia rappresentano - secondo l’Annual Report on European SMEs - il 79% dei posti di lavoro nei settori produttivi non finanziari (contro una media UE pari al 67%) e il 68% del valore aggiunto (media UE 57%).
L’ultima edizione del Survey on the Access to Finance of Enterprises (SAFE) pubblicato dalla Commissione Europea rivela un dato importante. Nell’Unione Europea in media il 68% delle PMI si rivela ottimista rispetto alla possibilità di approcciare un istituto bancario e ottenere quanto necessario in termini di risorse finanziarie. Questa percentuale sale al 74% in Francia e al 75% in Germania, ma scende al 58% in Italia. Inoltre, in Europa il 23% delle PMI ritiene di avere buona probabilità di approcciare un investitore nel capitale di rischio e finalizzare un accordo; in Germania e Francia le percentuali sono rispettivamente il 29% e il 18%, mentre in Italia siamo al 9%. L’8% delle PMI italiane, sempre secondo la Survey, considera la ricerca di risorse finanziarie il problema più importante, ancor più che trovare clienti o personale adeguato. Se in Italia il 73% delle PMI ritiene che le banche siano il partner ideale per supportare i progetti di crescita futura, nella media UE la percentuale è il 64%. Il nostro Paese conferma quindi la sua vocazione “banco-centrica” e la minore propensione a diversificare le fonti finanziarie. C’è molto lavoro da fare, quindi, per incrementare l’offerta di risorse ma anche per superare un gap culturale che in Italia ha frenato le PMI nella ricerca di alleanze e di supporto finanziario dall’esterno attraverso fonti alternative al credito bancario.
Il Politecnico di Milano ha condotto una ricerca sul modo di procedere in tale direzione.
L’obiettivo della ricerca è analizzare il mercato della finanza alternativa al credito bancario per le PMI in Italia. Il tema è di rilevante interesse, in merito al razionamento del credito che molte piccole imprese hanno sofferto in Europa e in Italia soprattutto dopo la crisi finanziaria iniziata nel 2008. Diversi infatti sono stati i provvedimenti legislativi e gli sforzi degli operatori sul mercato per offrire nuovi canali di finanziamento alternativi e potenziare quelli esistenti, con l’obiettivo di incrementare la competitività dell’ecosistema. Le PMI sono definite dalla Raccomandazione 2003/361/CE della Commissione Europea come imprese autonome il cui organico risulta inferiore a 250 persone (requisito necessario) e il cui fatturato non superi € 50 milioni o il cui totale di bilancio annuale non sia superiore a € 43 milioni (basta uno dei due requisiti).
Chiaramente non è facile discriminare le fonti di finanziamento delle PMI da quelle di altre imprese, perchè molte di esse sono comuni anche alle grandi imprese. In questa ricerca quindi abbiamo individuato sei ambiti specifici, per i quali cercheremo di discriminare il contributo che hanno dato alla raccolta di risorse finanziarie per le PMI italiane negli ultimi 10 anni:

1) i mini-bond, ovvero il ricorso al mercato mobiliare per il collocamento di titoli di debito come obbligazioni e cambiali finanziarie;
2) il crowdfunding, ovvero l’opportunità di raccogliere capitale su portali Internet, nelle varie forme ammesse (reward, lending, equity);
3) l’invoice trading, ovvero il ricorso a piattaforme web per lo smobilizzo di fatture commerciali;
4) il direct lending, ovvero credito fornito da soggetti non bancari attraverso prestiti diretti;
5) le Initial Coin Offerings (ICOs), ovvero la nuova frontiera del collocamento di token digitali su Internet grazie alla tecnologia emergente della blockchain;
6) il private equity e venture capital, ovvero il finanziamento con capitale di rischio fornito da investitori professionali, a volte prodromico alla quotazione in borsa su listini specifici per le PMI come AIM Italia. Si tratta del segmento che fino a poco tempo fa identificava quasi esclusivamente la finanza alternativa per le PMI nel contesto nazionale.

I mini-bond

L’industria dei mini-bond cresce progressivamente in Italia, fin dal 2013, quando le innovazioni normative avviate dal D.L. “Sviluppo” e da decreti successivi hanno facilitato l’opportunità per le PMI di collocare obbligazioni e cambiali finanziarie sul mercato, sottoscritte da investitori professionali (tipicamente fondi e asset management companies). Le PMI italiane emittenti di mini-bond fino al 30 giugno 2018 sono state 221, fra queste ben 36 si sono affacciate sul mercato per la prima volta nel 2018. Il controvalore collocato è stato pari a € 3,545 miliardi, suddiviso in 335 emissioni; nel 2017 la raccolta è stata pari a € 1,527 miliardi e nel primo semestre del 2018 siamo a € 313 milioni. La cedola media dei mini-bond emessi da PMI è pari al 5,3% e la maturity media è 4,9 anni. Si tratta di un mercato che a nostro avviso continuerà a crescere nel breve termine, poiché si riscontra un crescente interesse sia da parte delle PMI sia da parte degli investitori, che secondo noi è opportuno continuino a essere soggetti professionali. In tal senso è auspicabile un maggiore impegno da parte di assicurazioni e cassa di previdenza.

Il crowdfunding
Partito in sordina contemporaneamente ai mini-bond, l’equity crowdfunding ha visto un ottimo tasso di crescita negli ultimi mesi, anche grazie all’estensione a tutte le PMI di questa opportunità, inizialmente riservata a startup e PMI innovative. Sono 214 le aziende italiane che hanno provato a raccogliere capitale di rischio sulle piattaforme Internet autorizzate fino al 30 giugno 2018, assicurandosi attraverso 134 campagne chiuse con successo un funding pari a € 33,3 milioni (di cui € 11,6 milioni nel 2017 e € 14,2 milioni nella prima metà del 2018). Si tratta in gran parte di piccole startup, ma ci attendiamo un buon tasso di crescita per il futuro con le operazioni in ambito real estate e le campagne che saranno lanciate da PMI mature. In questo segmento della finanza alternativa occorre agire sull’educazione finanziaria verso i cittadini, affinché conoscano meglio questa opportunità: a oggi gli italiani che hanno sottoscritto una campagna di equity crowdfunding sono lo 0,1% della popolazione. Le piattaforme di lending hanno erogato a titolo di prestito alle PMI italiane € 60,3 milioni fino al 30 giugno 2018, di cui € 53,9 negli ultimi 18 mesi precedenti. Escludendo le ditte individuali, si può stimare che questo canale abbia supportato circa 250 PMI italiane. Anche questo mercato è destinato a crescere, grazie all’afflusso annunciato di capitali da investitori professionali che si affiancheranno ai piccoli risparmiatori di Internet. Completa il quadro il reward-based crowdfunding; si parla di campagne di piccolo importo (condotte soprattutto su portali USA come Kickstarter e Indiegogo) che imprese italiane in fase di avvio hanno condotto per raccogliere denaro offrendo in cambio prodotti e ricompense non monetarie. Stimiamo in € 7 milioni la raccolta effettuata, senza prospettive di crescita rilevante per il futuro.

Invoice trading

Le piattaforme di invoice trading italiane hanno mobilitato fino al 30 giugno 2018 € 612,2 milioni, di cui € 580,8 milioni negli ultimi 18 mesi. Va però notato che il ciclo di investimento in questo ambito è molto più corto, trattandosi della cessione a investitori professionali di fatture commerciali a scadenza mediamente 3-4 mesi, che vengono spesso utilizzate come sottostante per operazioni di cartolarizzazione. Molte delle risorse conteggiate sono quindi state reinvestite più volte nell’arco del periodo, e le stesse imprese hanno ceduto più fatture nel tempo. Si può stimare che questo canale di finanziamento sia stato utilizzato da 900 PMI italiane, e quindi è lo strumento relativamente più utilizzato fra tutti quelli considerati. Le prospettive per il futuro sono positive; si tratta di uno dei comparti che sta crescendo di più e l’unico nel panorama preso in esame dove l’Italia regge il confronto in Europa.

Direct lending

Si tratta del segmento meno sviluppato al momento, anche perchè ha toccato solo marginalmente le PMI. È quello dove è più difficile raccogliere informazioni esaustive, perché non pubblicamente disponibili. Possiamo stimare che al momento siano poche unità le PMI italiane che hanno ottenuto un prestito diretto da fondi specializzati, per un importo intorno a € 20 milioni. Vi è però spazio per una crescita futura, anche se riteniamo che la maggior parte dei capitali andrà a finanziare imprese medio-grandi o cofinanziare operazioni di leveraged buyout.

ICOs e token offerings

Il grande interesse cresciuto nel 2017 e nel 2018 attorno alle criptovalute e alla tecnologia blockchain ha spinto diversi imprenditori a lanciarsi nel mercato delle Initial Coin Offerings (ICOs) raccogliendo capitali su Internet offrendo in sottoscrizione token digitali e disintermediando completamente piattaforme terze e circuiti di pagamento tradizionali. I token consentono ai sottoscrittori di accedere a prodotti e servizi, a volte di partecipare attivamente al progetto imprenditoriale. Sono spesso scambiati su piattaforme specializzate e questo rende labile il confine fra le ICOs e la sottoscrizione di investimenti finanziari. Sicuramente la normativa dovrà provvedere al più presto a definire un quadro di riferimento per consentire lo sviluppo ‘sano’ di questa prassi, potenzialmente molto interessante per le PMI, e industrializzarne i processi. Abbiamo individuato 16 ICOs fino alla data del 30 giugno 2018 promosse da team costituiti per più del 50% da italiani, che hanno raccolto circa $ 150 milioni. Poiché la raccolta può avvenire anche in assenza di un veicolo societario già costituito (oltretutto non è detto che venga poi costituito in Italia) e visto lo stato embrionale del mercato, non ci sentiamo oggi di contabilizzare tutti i capitali raccolti nel conto della finanza alternativa per le PMI. D’altro canto il fenomeno non può essere ignorato, perchè – come andremo a documentare – le risorse raccolte sono abbastanza consistenti. Prudenzialmente, attribuiamo a questo segmento solo le operazioni riconducibili chiaramente a PMI italiane già esistenti o di nuova costituzione, per un importo pari a € 80 milioni.

Private equity e venture capital 

Completano il quadro gli investimenti effettuati da soggetti professionali nel campo del private equity e del venture capital, sottoscrivendo capitale di rischio di imprese non quotate, con l’ambizione di contribuire attivamente alla crescita dell’impresa in modo attivo, per poi ottenere una plusvalenza al momento dell’exit (ovvero la dismissione della partecipazione con la cessione a terzi o con la quotazione in Borsa). Questi investitori negoziano contratti e patti complessi con gli imprenditori, cosa che non accade ad esempio nell’equity crowdfunding, dove il potere contrattuale dei sottoscrittori è molto basso. Benchè attivo da tempo, il mercato italiano del private equity e del venture capital è ancora sotto-dimensionato rispetto alla situazione di Regno Unito, Germania e Francia. Con riferimento alle statistiche periodiche pubblicate dall’associazione di riferimento AIFI, limiteremo l’attenzione alle sole operazione di early stage ed expansion, dove tipicamente l’investimento viene effettuato con un aumento di capitale e con l’apporto quindi di nuove risorse. Al contrario le operazioni di buyout riguardano più che altro cessioni di partecipazioni ad altri investitori. Ipotizzando che tutte le operazioni nei due sotto-comparti riguardino PMI (il che non è affatto scontato), dal 2008 al primo semestre 2018 sono state mobilizzate risorse in Italia per € 970 milioni nell’early stage e € 6,5 miliardi nell’expansion. Se limitiamo l’attenzione agli ultimi diciotto mesi, abbiamo un flusso di € 229 milioni per l’early stage (su 213 progetti) e di € 568 milioni per l’expansion (per 69 aziende). Consideriamo nell’analisi riportata nel Capitolo 6 anche le operazioni di turnaround, perchè più spesso comportano l’apporto di risorse liquide per le imprese in fase di ristrutturazione, ma prudenzialmente non le associamo alle PMI. Riteniamo che il mercato del capitale di rischio ‘privato’ per le PMI possa crescere leggermente nel breve termine, più che altro grazie alle nuove risorse messe a disposizione da soggetti pubblici come la Cassa Depositi e Prestiti. Infine mostriamo che le 102 società quotate alla data del 30 giugno 2018 su AIM Italia, lo SME Growth Market di Borsa Italiana, avevano raccolto capitale in OPS al momento della quotazione per un importo di € 670 milioni (escludendo la raccolta delle SPAC), più altri € 126 milioni da aumenti di capitale successivi. In totale il flusso è di € 796 milioni (di cui € 188 milioni fra 2017 e primo semestre 2018).