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a cura di Nicoletta Rossi

Lavoro: come cambieranno gli scenari nel 2030


Quali saranno le professioni del futuro e come il processo di automazione porterà a creare nuove opportunità occupazionali?
Questo è il tema della ricerca “Il futuro delle competenze” realizzata da Pearson con Nesta e la Oxford Martin School. Dalla trasformazione tecnologica alle nuove competenze professionali, dal timore per la precarietà generata dai processi di automazione al ruolo della scuola nella formazione di employability skills, la ricerca offre una fotografia dei trend che investiranno il mercato del lavoro nei prossimi anni.
Lo studio ha voluto analizzare quali saranno i trend del mercato in questo nuovo decennio: quali professioni cresceranno e quali invece andranno in “declino” e, allo stesso tempo, analizzare quali saranno le competenze professionali più importanti in ottica occupazionale.
Altre ricerche hanno approfondito anche l’importanza dello sviluppo sì delle employability skills, ma in un’ottica di sviluppo delle proprie propensioni che deve partire dal sistema scolastico.
Questo è un elenco di alcune delle figure lavorative più richieste e ambite dal mercato del lavoro negli ultimi anni:

• esperto di Blockchain
• pilota di droni
• esperto di e-commerce
• APP designer
• social media manager
• digital marketing specialist
• programmatore iOS.

Viviamo in tempi interessanti, in continuo cambiamento, pieni di minacce e di opportunità. Abitiamo un mondo in cui ci sono scoperte nuove ogni giorno, i trend cambiano ogni mese e i grandi scenari ogni anno. Ciò vale tanto più per il mondo del lavoro. Secondo il World Economic Forum, il 65% dei bambini che oggi vanno a scuola svolgeranno dei lavori che a oggi ancora non esistono. Per l’Institute for the Future (IFTF) la cifra si attesta addirittura all’85%.
Oggigiorno sono tanti gli articoli, le opinioni degli “esperti” e gli studi che vogliono indicarci quali sono le professioni che nasceranno, per non parlare degli appelli affinché i giovani non buttino il loro futuro e vadano a fare quello che il mercato del lavoro richiede.
Se c’è una sola cosa di cui siamo tutti abbastanza convinti è che il “lavoro a vita” non esisterà più e che anche ai pochi che avranno sempre lo stesso datore sarà chiesto di adattarsi a ruoli cangianti, di continuare a formarsi e imparare, di saper gestire situazioni impreviste e complesse. Se c’è una speranza di riuscire a far compiere a una persona tutto questo, è che essa studi ciò per cui è motivata e faccia ciò per cui sente una spinta legata a valori interni.
Per raggiungere quindi l’obiettivo non solo di una bassa disoccupazione, ma anche e soprattutto di una diffusa qualità del lavoro, dovremmo quanto prima smetterla di presentare i principi, gli interessi e le motivazioni personali come per natura opposti alla funzionalità e all’impiegabilità nel mercato del lavoro. Dovremmo smetterla di dire e pensare che fare una scelta professionale o scolastica di “interesse” vuol dire fare gli schizzinosi e precludersi una carriera a causa di pigrizia o sogni infantili. Non è affatto così: anzi, è proprio la motivazione interna (maldestramente chiamata oggi dai più “passione”) a portare le persone a imparare nuove competenze, a reagire alle difficoltà e a diventare persone migliori. E quindi, in ultima ma non trascurabile istanza, più occupabili.
Fondamentale in questo contesto il ruolo della scuola a cui è affidato il compito di fornire le employability skills, ovvero le nuove competenze trasversali strategiche indispensabili per un mondo del lavoro investito da un cambiamento continuo, tecnologico e organizzativo.
In futuro sarà sempre più il sistema educativo, e in particolare la scuola, a svolgere un ruolo fondamentale nella preparazione dei lavoratori in grado di muoversi attivamente nel mondo del lavoro.